31 ottobre 2006

Per Gabriele Torsello


C’è una sensazione di vuoto. Tutti distratti. I clamori della finanziaria, le gags della politica muscolare e di quella demenziale delle conte in aula. Il corri corri del consumo, l’irresponsabilità diffusa e le tragedie nelle metropoli del mezzogiorno d’Italia. E poi le passerelle dello spettacolo, le cadute in moto che non ti fanno vincere il mondiale, Cassano che litiga col suo mister. C’è una sensazione di vuoto! Un silenzio assordante!
E poi, c’è un nome e cognome: Gabriele Torsello. Suona dentro, rode i pensieri che subito si volgono alla speranza. Atri pensieri, no! No, meglio di no! E te lo immagini in una tenda, chissà dove, sulle montagne d’Afghanistan. ''Sotto minaccia costante e sottoposto a estrema pressione da parte dei suoi rapitori'', come lui stesso ha raccontato, al telefono, nei primi giorni del sequestro. O starà in una grotta, tenuto fermo da chissà quale catena. Forse beve anche un tè con quelli che lo tengono, ormai sono passati i giorni e forse la tensione s’è un po’ allentata e si tratta solo di saper aspettare. Ci scambia anche parole? Lui, Kash, la lingua, un poco la mastica. Quando è il momento chissà se prega. Quel Dio scelto, lo stesso di chi lo tiene, un gruppo armato islamico che si dichiara non talebano, gente che non vuole più lo straniero nella sua terra. Gente stanca che subisce la guerra o predoni che approfittano, giocando con la politica, per ottenere un buon riscatto?
C’è una sensazione di vuoto e tanti cuori che lo riempiono quel vuoto. Cuori di qui, un po’ fragili, un po’ smarriti, di questo Salento sempre più esposto con i suoi tanti giovani soldati nelle zone di guerra, le vittime degli attentati e ora, adesso, con un suo figlio rapito. Uno che voleva raccontarla la guerra, per combatterla. Uno sequestrato per difendere il diritto di noi tutti all’informazione. Uno che il giornalismo lo fa “con le suole delle scarpe”, camminando e osando. Uno che, subito prima del suo sequestro, era andato a Musa Qala a fare fotografie. Voleva testimoniare, attraverso l’obiettivo della sua Nikon, i drammatici effetti sulla popolazione civile dei bombardamenti aerei della Nato in quella zona, ritenuta una delle maggiori roccaforti della guerriglia talebana. Bombardamenti che sono proseguiti anche nelle ore e nei giorni successivi al rapimento e che hanno provocato nuove distruzioni e nuove vittime civili. Come la piccola Hamida, gravemente ferita e ora ricoverata in un ospedale di Emergency.
Questa generosità è di Gabriele Torsello, questo senso di sacrificio anima il suo cercare, il suo farsi osservatore e testimone, il suo scegliere. Com’è stato all’inizio della sua carriera quando ha raccontato la vita dei poveri nelle strade di Roma, quando ha attraversato l’Albania e il Nepal. Quando ci ha detto del Kashimir.
E tutti adesso vorremmo che questo silenzio si rompesse. Che le istituzioni si muovessero. Vorremmo che Gabriele potesse tornare dal suo bimbo. Vorremmo noi, da qui, da questo Salento che si sente un po’ solo, alzare una voce, forte, capace, certa nel suo dire basta, lasciatelo libero, che siamo ‘arco di pace’, noi, contro ogni guerra, noi! E Gabriele è uno di noi! Arco di pace contro ogni guerra!

Mauro Marino

esser differenti.

sembra che sia normale. già, il buffo è che siamo tutti ugualmente differenti. solo che per molti è motivo d'orgoglio. una distinzione che ci distanzia dalla massa. la differenza è aristocratica. distinguersi dalla folla, come a snobbare l'opinione comune. altro che a te girano i coglioni, di questa differenza. già, vorresti essere uguale, banale, anonimo. per te sarebbe più facile, mimetizzarti nel mucchio. si vede da come vesti. incolore, banale, uguale da trent'anni. da come cammini, mai in mezzo, sempre attaccato ai muri. nell'apparire forse ci sei riuscito. e nell'essere? sì, sapere che sei protetto dal pensiero comune di tanti. sentirti rassicurato dall'opinione altrui. potersi rifugiare nella normalità dell'idea diffusa, che molti definiscono "di maggioranza". niente, sei sempre stato estremista. una minoranza oppressa, schiacciata dal fuori omogeneo, compatto. idee bislacche, assurde, dalle quali non riesci a distaccarti. ti piace il "fai da te" del pensiero. mai che tu trovi qualcosa di bell'e pronto che ti vada bene. e non ti aiuta neppure dire "avevo ragione" quando per esempio senti dire che il pianeta è in riserva, che tutto è irrimediabilmente sputtanato. esser differenti non è un privilegio. è una condizione di disagio. il più delle volte un imbarazzo. ti senti scemo, nel migliore dei casi. abituati.

lapo
(http://lacasadilapo.slinder.com)

Oh! Taranto

sabato scorso ho passato il pomeriggio a passeggiare per le strade di taranto, era tanto tempo che non ci andavo, e la riflessione che mi è capitato di fare vorrei condividerla.

come in tantissimi altri centri d'italia e del nostro mondo "sviluppato", passando accanto ai cassonetti dell'immondizia, si intravedono merci all'apparenza poco meno che nuove ed efficienti lasciate lì, in mezzo ai sacchetti della spazzatura. normalmente, a questa immagine dedichiamo forse un veloce pensiero sugli sprechi della nostra società e basta.

ma a taranto, in questi giorni, una riflessione in più ingombra la mente: è, quello, un simbolo della relativa ricchezza materiale che molti individui e famiglie hanno raggiunto, ma lo è anche dell'idea tutta privatistica del benessere e del progresso.
non ci occupiamo del bene pubblico, a meno che non intacchi la quantità di beni che possediamo e continuiamo ad accumulare, via via disfandocene e sostituendoli con altri più nuovi e desiderabili. crediamo che la nostra felicità possa essere coltivata nel chiuso delle nostre case, delle nostre famiglie e dei circoli più o meno ristretti di cui facciamo parte.

all'improvviso poi, accade qualcosa che mette in relazione il nostro passivo delegare, il nostro vanto apolitico e apartitico, il nostro cinismo perché "tanto sono tutti uguali", le nostre schede bianche, con la rimozione coatta dei nostri diritti "municipali" che davamo ormai per scontati.
questo discorso, visto nella prospettiva non solo cittadina ma nazionale e sovranazionale, rischia di gettarci nel peggiore sconforto, ma mi scuoto: mi propongo di avere fiducia che fatti come questo dissesto finanziario servano ad una presa di coscienza, ad invertire una tendenza, partendo dalla volontà e dal fare di tutta una comunità, un giorno dopo l'altro.

enzo granella, un tarantino residente a bari

30 ottobre 2006

Erik Satie






"autoritratto"

ringraziando zioRaf per i suoi racconti
intorno ad una tavola di sapori e di amici
prelibati...
sulla musica sperimentale e sul crogiolo creativo d'inizio novecento...

25 ottobre 2006

Ahi! Ma con la bicicletta dove?!


La notizia è che Lecce è l’unica città del Sud d’Italia, in cui l’indice di ciclopedonalità è più di 10 metri equivalenti per abitante. Un dato che fa guadagnare alla città un po’ di punti, in bassa classifica, nell’annuale rapporto di Legambiente sull’ecosistema urbano. Ma molti si chiedono: dove sono le piste ciclabili?
Le biciclette sì, pian piano entrano nelle scelte dei leccesi, con fatica tentano di imporre uno stile, un’andatura diversa, con impropri zig-zag tra pedoni (nelle isole pedonali, anche queste punto di qualità della città) e le automobili, che insofferenti ad ogni rallentamento, travolgono spesso ciclisti e pedoni, lanciate sui rettifili dei viali, in particolare quello ‘ultimo’, dell’Università, che registra numerosi incidenti da quando è stato ridisegnato. Ma oltre i saliscendi dai marciapiedi non c’è ombra di piste, in città, per chi pedala, come quelle vere, attrezzate, esclusive e regolamentate che si vedono a Cesena o a Ravenna, comunità evolute da questo punto di vista.
A Lecce, l’utopia ciclistica può aver luogo fuori città, ma su vere e proprie piste da cross. Sui percorsi ciclo-turistici di Rauccio, non sempre aperti e praticabili o sulla lunga striscia d’asfalto che costeggia, con undici chilometri di buche, la via del Mare. Strada anche questa ormai senza anima, irrimediabilmente snaturata, nel suo omologarsi agli standard, con lo spartitraffico al centro della carreggiata che ha sostituito la lunga linea di oleandro rosa, bianco e rosso che caratterizzava l’andare al mare d’un tempo. Ma si sa, la sicurezza e la necessità della velocità non sempre si concertano con la bellezza, che è valore sacrificabile, specie quando richiede cura, manutenzione, accorgimenti e forza lavoro. Meglio il cemento che non fiorisce, non secca e non cresce.
Ciclabili, nei paesi, tutto intorno a Lecce sono diventati i vecchi tratturi e le strade vicinali che costruiscono una rete di collegamenti interpoderali anche affascinanti, ma chiamarle piste ciclo turistiche, solo perché servite da una approssimativa segnaletica e quanto meno improprio perché rimagono aperte al traffico veicolare. Certo tutto è servito ad intercettare finanziamenti. Ma insieme al denaro era interessante anche importare la cultura ispirativa di certe progettualità, concependo la necessaria sensibilizzazione e l’invito all’uso della bicicletta in un territorio e in una città ideale pianeggiante e climaticamente sostenibile. Ma, si sa, non c’è tempo e volontà per tentare e praticare il dialogo con i cittadini. Speriamo nell’incontro del prossimo 1 novembre che con una pedalata inaugura ‘Lecce in bici’. Ci auguriamo non sia il solito bluff propagandistico!

MM

22 ottobre 2006

invettiva

non prendiamoci in giro! non può esserci un fare culturale che non sia politico! è una vera contraddizione. è l'assurdità di questa epoca che ha massacrato a tal punto il concetto di politica da indurre le giovani leve e i veri idealisti e i moralmente integri e gli onesti a... desiderare di tenere debite distanze dalla politica. e così il circolo s'è fatto vizioso: se lasciamo la politica agli altri come possiamo credere di migliorare il mondo? tornando alla cultura, bisogna dubitare fortemente dell'operatore culturale che non si schiera, che non dice cosa pensa, che non manifesta la sua posizione con chiarezza. per non parlare del fatto che i gesti e le operazioni senza meta politica non possono dirsi culturali. toccano il non senso. per meglio dire, chi si dice apolitico pecca continuamente di incoerenza perchè non può e non sa riconoscere il valore di ciò che fa, per cui agisce a vanvera... mentre invece ogni cosa, ogni piccolissima cosa l'uomo calato in una società fa, ha un suo valore o una sua ripercussione politica.

19 ottobre 2006

Labile


Scivolo come le nuvole di notte
e sto contento
amore che t'avevo caricato
nel mio sangue
non ti ci vedo, non ti ci sento
passo sul ciglio del mondo
disattento
dal lato occidentale delle cose
m'incanto, mi disincanto
scivolo come le acque delle regioni
senza vento
quanto amore andò sprecato
amando - disanimando
ti ricorderai di me?
ti ricorderai?
Labile

(v. usando parole di Ivano Fossati)

18 ottobre 2006

Valentina


intravista in un disegno di Alessandra Lupo

16 ottobre 2006

NuovoMondo



Quello che resta negli occhi
impresso
è il latte
un mare di latte
che avvolge le figure come un sogno fa con la mente...
avvolgendo ogni pensiero e influenzandone il colore, il segno, il valore...

E qui bianco
puro
intenso
declinato al fututo
è il sogno degli uomini e delle donne di questo bellissimo film.
Bianco latte.

Aperto l'orizzonte che porta al domani
sopportabili fatica umiliazione e impersonalità vissute al presente
se sono utili o necessari passaggi per il futuro.
Nitide le visioni come la realtà
pulito il taglio fotografico e prezioso indispensabile ogni dettaglio.

Parlo di Nuovo Mondo di Emanuele Crialese.



Lui: "C'è un po' l'inconscio collettivo in questo film.
E' un viaggio che ho raccontato attraverso la storia di un personaggio
perché ho voluto dare identità a quello che chiamiamo "fenomeno" dell'emigrazione.
Un fenomeno che poi riguarda le persone, i loro sogni, le delusioni,
di viaggi incompiuti, bloccati o finiti tragicamente.
Vorrei dare un po' di identità a questo "fenomeno"
anche se non credo che 'Nuovomondo' sia un film sull'emigrazione
ma sul sogno, il sogno di tutti quelli che partono lasciando tutto per sperare in un domani migliore."

12 ottobre 2006

il vento s'è portato via le tue parole

cara tere...

a distanza di giorni ora lo possiamo dire con certezza!
il vento impetuoso che gira nel nostro blogghino s'è portato via le tue parole!
chissà dove stanno!

ma...
se ce n'è qualcuna ancora impigliata tra i tuoi capelli e la tua memoria...
acchiappala!
ricuci...
ri-inventa...
per me
per noi
per i lettori.

bacio
tuavale

08 ottobre 2006

domenica pomeriggio

ho bisogno di lasciare una traccia della mia presenza in questo blogghino...
ci passo ogni giorno anche più volte al giorno
ma poichè ho l'impressione di non aver nulla da scrivere
poichè il tran tran quotidiano ha ripreso il suo corso ed io sono sempre in corsa - oggi è il primo giorno di sosta dopo settimane -
poichè il mio tragitto è sempre uguale a se stesso e vado da casa al lavoro dal lavoro a casa con brevi puntate negli spazi limitrofi della necessità
poichè ho l'impressione di non viaggiare più come nei mesi estivi... (se anche so che non è così)
mi sono ammutolita.
mi sono intimidita.
mi sono frenata.

oggi ho bisogno di lasciare una traccia della mia presenza in questo blogghino...
perchè anche se non sembra ci sono.

con la stessa semplicità - e rinnovo l'invito a chi ci passa - si può lasciare un commento... anche una firma un segno del passaggio... una traccia...
basta cliccare sulla parola "commenti" e... scrivere.

v

SIDEROFONO RAUCO oggetto sonoro di
  • antonio de luca



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