Per Gabriele Torsello
C’è una sensazione di vuoto. Tutti distratti. I clamori della finanziaria, le gags della politica muscolare e di quella demenziale delle conte in aula. Il corri corri del consumo, l’irresponsabilità diffusa e le tragedie nelle metropoli del mezzogiorno d’Italia. E poi le passerelle dello spettacolo, le cadute in moto che non ti fanno vincere il mondiale, Cassano che litiga col suo mister. C’è una sensazione di vuoto! Un silenzio assordante!
E poi, c’è un nome e cognome: Gabriele Torsello. Suona dentro, rode i pensieri che subito si volgono alla speranza. Atri pensieri, no! No, meglio di no! E te lo immagini in una tenda, chissà dove, sulle montagne d’Afghanistan. ''Sotto minaccia costante e sottoposto a estrema pressione da parte dei suoi rapitori'', come lui stesso ha raccontato, al telefono, nei primi giorni del sequestro. O starà in una grotta, tenuto fermo da chissà quale catena. Forse beve anche un tè con quelli che lo tengono, ormai sono passati i giorni e forse la tensione s’è un po’ allentata e si tratta solo di saper aspettare. Ci scambia anche parole? Lui, Kash, la lingua, un poco la mastica. Quando è il momento chissà se prega. Quel Dio scelto, lo stesso di chi lo tiene, un gruppo armato islamico che si dichiara non talebano, gente che non vuole più lo straniero nella sua terra. Gente stanca che subisce la guerra o predoni che approfittano, giocando con la politica, per ottenere un buon riscatto?
C’è una sensazione di vuoto e tanti cuori che lo riempiono quel vuoto. Cuori di qui, un po’ fragili, un po’ smarriti, di questo Salento sempre più esposto con i suoi tanti giovani soldati nelle zone di guerra, le vittime degli attentati e ora, adesso, con un suo figlio rapito. Uno che voleva raccontarla la guerra, per combatterla. Uno sequestrato per difendere il diritto di noi tutti all’informazione. Uno che il giornalismo lo fa “con le suole delle scarpe”, camminando e osando. Uno che, subito prima del suo sequestro, era andato a Musa Qala a fare fotografie. Voleva testimoniare, attraverso l’obiettivo della sua Nikon, i drammatici effetti sulla popolazione civile dei bombardamenti aerei della Nato in quella zona, ritenuta una delle maggiori roccaforti della guerriglia talebana. Bombardamenti che sono proseguiti anche nelle ore e nei giorni successivi al rapimento e che hanno provocato nuove distruzioni e nuove vittime civili. Come la piccola Hamida, gravemente ferita e ora ricoverata in un ospedale di Emergency.
Questa generosità è di Gabriele Torsello, questo senso di sacrificio anima il suo cercare, il suo farsi osservatore e testimone, il suo scegliere. Com’è stato all’inizio della sua carriera quando ha raccontato la vita dei poveri nelle strade di Roma, quando ha attraversato l’Albania e il Nepal. Quando ci ha detto del Kashimir.
E tutti adesso vorremmo che questo silenzio si rompesse. Che le istituzioni si muovessero. Vorremmo che Gabriele potesse tornare dal suo bimbo. Vorremmo noi, da qui, da questo Salento che si sente un po’ solo, alzare una voce, forte, capace, certa nel suo dire basta, lasciatelo libero, che siamo ‘arco di pace’, noi, contro ogni guerra, noi! E Gabriele è uno di noi! Arco di pace contro ogni guerra!
Mauro Marino
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