31 gennaio 2007

del sole di questi giorni...


[foto: vs]

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27 gennaio 2007

ciao Emanuele...



"Noto soprattutto come sceno-grafo e illustratore, maestro in ogni campo dell'arte applicata.
Nato a Genova nel 1921, diplomato all'Ecole des Beaux Arts di Losanna, ha collaborato con registi, architetti, artisti e scrittori di fama internazionale. Espone nel '72 alla Biennale di Venezia; nel '75 è fondatore, con Aldo Trionfo e Tonino Conte, del Teatro della Tosse di Genova; autore di film di animazione con Giulio Gianini, otterrà due nomination all'Oscar.
Luzzati è interprete di una cultura figurativa abile e colta, capace di usare con maestria ogni sorta di materiale: dalla terracotta allo smalto, dall'in-treccio di lane per arazzi all'incisione su supporti diversi, ai collage di carte e tessuti composti per costruire bozzetti di scene, di costumi, di allestimenti navali. La ricchezza del suo mondo fantastico, l'immediatezza ed espressività del suo stile personalissimo, che parla il linguaggio universale dell'infanzia, ne hanno fatto uno degli artisti più amati ed ammirati nel nostro tempo.
La sera del 26 gennaio 2007 Lele Luzzati, serenamente, se n'è andato..."
[tratto da www.museoluzzati.it]

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26 gennaio 2007

Stampa ‘marginale’ a Lecce negli anni settanta

Una ricognizione su quella che fu la stampa marginale a Lecce negli anni Settanta non può che partire dalla rivista “Mu”. Un ciclostilato dal destino singolare e dalla particolare longevità (ne uscirono 12 numeri, dal 1974 al 1976) che, nel corso della propria evoluzione accompagnò ed in parte anticipò tematiche proprie del rapporto musica-politica allora molto in voga. Con un occhio particolarmente attento alle mutazioni dei costumi ed alla cultura giovanile, “Mu” fu per diversi anni punto di riferimento per tutti i “cani sciolti” della nuova sinistra leccese che non si riconoscevano più nel fare politico rigido ed istituzionalizzato delle organizzazioni della sinistra “storica” (ma anche della nuova sinistra) e che sentivano l’esigenza di un diverso rapporto cultura-politica.
Il 77, naturalmente era dietro l’angolo.
“Mu” nacque agli inizi del 1974. La redazione, allora ristretta ad un solo eroico componente (Francesco Galli) si occupò, per i primi due numeri - formato quadrato in stampa eliografica – esclusivamente di musica pop. L’ingresso di nuovi collaboratori (tra loro Toni Robertini, enfant prodige del movimento creativo leccese) modificò il taglio della rivista, che assunse una connotazione più “militante”. L’obiettivo era quello di diffondere il rock ma, seppur timidamente e fra mille ingenuità, comparve la parola passe-partout “controcultura”. Era aperto il campo alla discussione di tematiche quali la droga, la sessualità (s’apprestavano gli anni de “il personale è politico”) ma anche il cinema e la letteratura undeground.
Il successo della rivista convinse i suoi collaboratori a tentare la creazione di un vero e proprio “centro di controcultura”. Il progetto fallì, a partire dal numero nove, “Mu” assunse una connotazione sempre più politicizzata. Accanto alle recensioni dei dischi e concerti trovarono spazio articoli di taglio più “teorico”. Il progetto era quello di mettere in comunicazione politica e musica, due settori sino ad allora distanti ma che in seguito avrebbero sempre più marciato di pari passo. A partire dal numero 10, fino alla fine, “Mu” accentuò la sua politicizzazione e, anche in seguito ad un rimescolamento della redazione, si schierò con la consistente “ala creativa” del Movimento. Riscoperta della felicità, espropri, illegalità di massa furono le tematiche che presero il sopravvento sull’impostazione originaria. Il ’77, con tutto il suo carico di contraddizioni, spontaneismo, irrazionalità, aveva fatto ormai irruzione nella struttura del giornale, che non resse l’urto. Dichiaratamente schierati con Autonomia furono i due epigoni di “Mu”: “Te’ all’arancia” ed “In/Contro”. Tematiche non dissimili dagli ultimi numeri di “Mu”, con un accentuazione della violenza a livello grafico: due riviste dalla vita breve e dalla veste volutamente rozza e “sporca”.
Non vide mai la luce “Brutti Sporchi e Cattivi”, fu prodotto solo un provino in eliografia. Già il titolo della testata è indicativo del contenuto della rivista: il collegamento era con le esperienze del movimento bolognese, il tratto distintivo l’ironia. Soltanto curiosità per “Col sangue agli occhi”, rivista dell’Autonomia più incazzata e violenta (almeno a parole). La lotta contro la repressione fu il suo carattere distintivo, e ciò la dice lunga sulla piega che stavano prendendo gli eventi.
Schierata anch’essa sulla linea “creativa”, e con un occhio rivolto agli “indiani metropolitani” fu “Finalmente il cielo e’ caduto sulla terra”, ne uscì un solo numero. Nessun numero uscì de “L’elefante bianco”, titolo di una canzone degli Area, solo prove di impaginazione e un menabò discusso ed elaborato nel tentativo di ritornare alla musica e a contenuti culturali sperimentando un lavoro di redazione che sempre si perdeva in ascolti appassionati (nella casa di Alessandro Salerni ricca di buoni dischi) che scordavano la missione da compiere. Con “New Wave” siamo invece già in pieno post-settantasette. Mentre il Movimento si chiedeva se per caso i punk inglesi non fossero fascisti, una nuova leva di fans diede vita ad un ciclostilato dal taglio prettamente musicale (autore principale di quell’esperienza fu Pierfrancesco Pacoda, oggi affermato scrittore e critico musicale).
Gran cura nell’impaginazione grafica, dinamismo e verve sul piano della scrittura uniti ad uno spirito “d’impresa” nuovo e spregiudicato sono invece i tratti salienti di “Gola”, una vera fanzine sul modello delle riviste analoghe sorte in USA e in Gran Bretagna sull’onda del punk. Gola ebbe vita breve ma colpiì sicuramente nel segno. Stampata in tipografia e con un suo piccolo ma efficiente portafoglio pubblicitario, la rivista aggiornò il gusto ed aprì a tutte le novità del nuovo decennio. Anche qui la musica fu la componente determinante (alcuni dei suoi redattori provenivano da “New Wave”), ma non mancava un approccio disinibito e “cool” alla cultura giovanile. Di “Gola” uscì un solo numero. Il secondo fu solo distribuito agli amici.
E poi gli anni ottanta…

MM

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A trent’anni dal settantasette


Sono trascorsi trent’anni e il 1977 si presenta ancora come una ferita, un “incompreso trauma”, un "buco nero" della storia italiana denso di vicende, di paure e di sangue.
Stretto fra due “buoni movimenti”, il ’68, ormai stabilmente entrato a far parte dell’immaginario collettivo e l’85 della Pantera, realista, disincantato, “ragionevole”, il movimento del ‘77 ha da sempre subito la più completa e radicale rimozione. L’oblio, o al massimo il ruolo di preambolo degli “anni di piombo”, è questa la massima concessione che la storiografia ufficiale (cioè la storiografia dei vincitori) sia disposta a fare al ’77 e con esso, a tutti gli anni settanta.
Una fase rimossa perchè fatta coincidere con la violenza del terrorismo, sia quello "piccolo" e sbandato, spesso costretto ad atti inconsulti perchè braccato e incastrato da sommarie repressioni, sia quello “grande”: grande almeno quanto la sua strategia, paranoica e ossessionata da schemi ideologici antistorici. Un piccolo e grande terrorismo che , dall'Autonomia alle Brigate Rosse, ha colonizzato l'immaginario di un “uomo-massa” che ama coltivare più le paure che i desideri.
Ripensare agli anni settanta sembra quindi avventurarsi per un cammino scomodo e difficile. Pure, a nostro avviso, l’avventura va tentata, poiché è in gioco la memoria storica di più di una generazione.
Il convegno di Bologna del settembre settantasette -festoso epilogo di quella complessa fase- confermò l’esistenza di uno strato giovanile inquieto, tendente alla marginalità, ricco di bisogni e portatore di comportamenti irrazionali: il “proletariato giovanile”. La definizione può essere discussa, ma prendiamola per buona: essa contribuì ad unificare una serie di fenomeni nuovi, i cui momenti aggregativi ed “esplosivi” non avvennero tanto sul terreno strettamente politico, quanto su quello culturale. In particolare, gli anni Settanta, e questa fu una delle peculiarità del momento, videro nascere anche in Italia un legame indissolubile tra musica e devianza giovanile, legame chiaramente avvertibile in altri paesi europei e non ci sembra un caso se il punk inglese avesse il proprio battesimo proprio in quell’anno. Così, una storiografia che volesse ripercorrere le tappe della nascita del “proletariato giovanile” dovrebbe ripensare al festival di Umbria Jazz del ’75, al concerto per la depenalizzazione delle droghe leggere a Roma, Piazza Navona, 1975, al festival di Licola ancora nello stesso anno, alle diverse edizioni del festival di Parco Lambro, ’74, ’75, ’76. Situazioni culturali più che politiche, ma la scissione di queste due categorie fu messa radicalmente in discussione e lo slogan fu “il personale è politico”. Consistenti masse giovanili ebbero l’occasione di vivere, almeno per un po’, le esperienze di “liberazione”, altro termine chiave, di cui avevano sentito parlare dai profeti dell’underground americano: vita in comune, libertà sessuale, uso di droghe, rigorosamente leggere e psichedeliche, nomadismo.
L’elemento di novità che il ’77 mise infatti in gioco fu la singolare confluenza, in un mix da sapore del tutto particolare, di tematiche tipiche del movimento operaio ( ma filtrato dal ’68 studentesco ), egualitarismo, antiautoritarismo, antimperialismo, con tematiche direttamente mutuate dalla controcultura americana.
L’accusa di “irrazionalismo” cui il movimento venne fatto oggetto fu dunque perfettamente valida, salvo poi interrogarsi sullo statuto della razionalità vigente, ma il discorso sarebbe troppo lungo… .
Negli anni settanta emerse insomma uno strato giovanile che mise in primo piano i propri bisogni: erano “radicali”?. Mettevano in discussione l’assetto capitalistico della società? Ci si affannò a lungo su questi problemi, senza alcuna mediazione. Fu un movimento sconfitto proprio nel momento in cui tentò di contrapporsi frontalmente al potere politico-militare, esplose nell’impatto con la repressione statuale e implose nell’incapacità di darsi sbocchi di mediazione e di rappresentanza. Una parte cospicua e ricca del suo tessuto militante imboccò, più o meno consapevolmente, i tragici e suicidi destini della droga e delle armi. Ma i presupposti sui quali si fondò – disoccupazione/rifiuto del lavoro, degrado metropolitano, ecc. – non sono affatto scomparsi. La marginalità giovanile continua a vivere ai bordi delle città e del capitalismo avanzato.
Il ’77 fu l’ultima insurrezione di uno strato sociale, disomogeneo e confuso che continua ad esistere, ancora oggi. Difficile prevedere in quale modo farà sentire la propria voce; visse la brevità e l’intensità di una meteora, e come tale illuminò per alcuni attimi il cupo cielo della teoria e della politica del “sistema dei partiti” italiano e della sua propaggine extraparlamentare. Repentinamente e definitivamente consumò il repertorio delle “grandi narrazioni”, dell’immaginario storico della sinistra in tutte le sue varianti ideologiche, sia riformiste che rivoluzionarie. Ma del ’77 l’attuale movimento globale è debitore per una straordinaria manifestazione anticipatoria di quel soggetto sociale materialisticamente prodotto dalla trasformazione epocale del lavoro. Fu un anno di “innocenza e di premonizione” un’ottima ragione per i militanti (o attivisti che dir si voglia) di oggi di analizzare a fondo le vicende di quegli anni di passione e di desiderio.

MM

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21 gennaio 2007

la BIOMENICA


...e no. Non può mancare la "biomenica" tra le memorie del vento. E' una piccola mostra mercato di prodotti bio, in campagna - alla masseria Lobello* - di domenica - la terza di ogni mese. Oggi la seconda. Gli amici di cool club (e stretti dintorni) son tutti qui, al completo, Antonietta Osvaldo Tobia e Cecilia ci vivono anche. Pierpaolo è il primo che incontriamo, sta facendo il parcheggiatore, e ci indica dove mollare il nostro bolide, la twingo bluchiaro. Poi troviamo Cesare che si porta in macchina la sua cassetta di paparine e rape, poi Tobia che pesa e vende la verdura dei campi intorno alla masseria mentre Cecilia fa su e giù dalla cucina. Ma Antonietta dov'è? Boh. Non mi ha neanche risposto al telefono prima, quando non trovavamo la strada. Su un'altura circondati da ampi spazi aperti, c'è anche l'energia pulita all'orizzonte (ci sono le sontuose pale per l'eolica in allestimento... ben visibili da qui), la masseria lobello è un luogo aperto accogliente e capiente e per la biomenica ospita i produttori del biologico del nostro territorio e tutti coloro che vogliono passare una giornata in piena campagna tra persone che la rispettano pienamente. Tante, sì sono proprio tante le persone che sono partite dai loro luoghi per venirci oggi lì! Tantissimi bambini, liberi sorridenti in corsa e allegria e tantissimi canetti (alias cani belli belli), poi ho capito tanti abitanti già nella casa sommati agli ospiti, anche loro sciolti e liberi... fluidi e inoffensivi. Dopo il pranzo tutto a base di verdure e legumi, buono e sano naturalmente, finalmente compare Antonietta, che era fino ad allora rimasta con sua mamma ed un'altra signora nelle cucine ad armeggiare... Ci mostra la sua casetta e così capisco meglio prechè non la incontro più neanche per sbaglio in giro... lei ha trovato dimora, sta benissimo e non ha altro motivo di spostarsi se non per lavoro. Ah come la capisco! Cos'altro dire, se non che è il caso di farci un salto? la prossima terza del mese di febbraio!

VS

*la masseria Lobello si trova sulla Lecce - TorreChianca, primo bivio a destra poi è segnalata dalla strada, si gira a destra e ci si inoltra nei campi...

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19 gennaio 2007

faccia di formica

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11 gennaio 2007

Nada. Ultimo atto.



venerdì cinque gennaio anno duezerozerosette
in treno per civitanova marche, poi montecosaro.

E' qui che leggo le ultime pagine di Nada. Come un cerchio, il libro si chiude così come si è aperto. Gonfio di aspettative, proteso in avanti su di un futuro che sa e può portare cambiamento. Così si apre su una svolta forte, il cambio di città, l'arrivo a Barcellona per studiare, poi corre e scorre veloce scansito da tre parti che portano dentro tre nuovi, non grandissimi, passaggi, cmq importanti per il 'nostro' racconto, ed infine si chiude nuovamente e finalmente, al colmo dell'esasperazione e sull'orlo della follia, con la partenza per Madrid ed una nuova vita. Andrea, la protagonista io narrante, lascia Calle de Aribau dopo un anno di delusa esistenza. Magrissima di fame e povera. Sola. L'unico affetto acquisito a Barcellona sarà quello che la libererà dai legacci della casa di calle de Aribau e la porterà a spostarsi a Madrid.
Scritto nei primi anni '40 del secolo scorso, Nada vince il premio Nadal nel 1944 e si distingue tanto da esser definito dalla critica uno dei migliori romanzi del dopoguerra spagnolo. In Italia ci arriva, ma ora grazie alla borsa di studio vinta dalla una nuova traduttrice Barbara Bertoni alla 'casa del traductor' di Tarazona (Spagna), e grazie anche naturalmente ai tipi di Neri Pozza, torna in commercio con una edizione tutta nuova. Attrazione fatale è stato questo libro in libreria sin dalla sua fisicità sugli scaffali dell'affollatissima e ricchissima Feltrinelli di via Melo (Bari). Bello il titolo, bella l'immagine in copertina, bella la dimensione del volumetto, piccolo e compatto ma non breve, bella la carta tutta. Ora che ho messo lo zampino anche dietro le quinte della vita di un libro, dopo aver passato anni ad occuparmi della sua archiviazione e vendita o della sua raccolta per far nascere biblioteca, ora, dicevo, che sto avendo modo di curarne la genesi (fisica, non sono autrice!), dalla progettazione fino alla stampa di quello che sarà poi il suo 'corpo', ora so bene, ancora meglio di quanto tuttavia avevo già intuito, quanto sia complessa la sua semplicità, la sua eleganza, il suo equilibrio formale. A Bari l'ho preso in mano Nada, l'ho sbirciato e corteggiato. La fila alla cassa era così lunga, nella settimana che precede il Natale, che ho pensato bene di uscire senza acquistare nulla, senza acquistare 'nada'! L'ho fatto mio a Bisceglie, nella libreria Oompa Loompa di Agata Diakoviez dove ero in visita per la mostra della mia amica sorella Teresa. Tutt'altro clima naturalmente! Poi la lettura ha confermato quell'istintivo fiuto. Nada è un libro che corre veloce, è un libro scritto e tradotto benissimo. Benchè a tratti di una tristezza profonda, per le tematiche e le vicende di cui tratta, c'è fame solitudine e follia in questo libro, la scrittura resta sempre fresca e luminosa, lieve come un vapore, avvolgente e capace di restituire più di ogni altra cosa il clima umano ed intimo di Andrea nella Barcellona della sua giovane età. Mi ha stupito la modernità del linguaggio che pesca nel gergo parlato con estrema disinvoltura, cosa cui oggi siamo ben abituati ma nel '40 no, e che descrive eventi e sensazioni con una immediatezza bellissima, senza il filtro spesso inevitabile delle convenzioni del tempo. Questo mi ha dato da pensare. Non so ancora bene se questa è l'esatta cifra dell'autrice, Carmen Laforet, o (più probabilmente?) la differenza tra la nostra cultura e quella spagnola, che senz'altro mi è sempre parsa più brillante nel descrivere l'umanità senza far uso di pregiudizi, filtri e convenzioni. E' così sorprendente seguire il filo del racconto che è imperlato di luminose visioni sul mondo, sull'architettura della città vecchia, sul contesto cittadino e sulla 'fauna umana' che Andrea incontra lungo il suo cammino durato un anno della sua vita condivisa con noi... lettori. L'impressione è quella di avere una presa diretta con il suo pensiero, come se il passaggio in scrittura non avesse minimamente incrinato o intaccato la qualità della visione... L'autrice si è fatta così protagonista indiscussa e geniale della materia che racconta.
Da non perdere direi!

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03 gennaio 2007

Rose d'inverno: le mostre di Teresa Ciulli


Attenzione, attenzione! L’occasione è ghiotta, ma poco il tempo per poterla ‘gustare’!
C’è una piccola-grande mostra in un luogo incantato nei vicoli del centro storico. Una stradina inattesa, via Santa Maria dei Veterani, si apre a destra in prossimità dell’ Arco di Prato; lì c’è una piccola chiesetta che ospita Inari bottega di Culture Alimentari. Tra barattoli di delizie della cucina tipica meridionale, vini, ricercati salumi, pasta e conserve potrete, sino al 4 gennaio,‘collegarvi alle nuvole’. Due alucce di legno antico, invitano e tutto l’impianto della costruzione sembra prendere il volo, tanta è la leggerezza delle opere in mostra. “Molliche di cielo e altre briciole” vi verranno incontro in piccole visioni di poesia che portano l’arte di Teresa Ciulli.
Una luna rossa si arrampica in un cielo nero, tenuta da un filo governato da mani di donna, tutto tenuto in un cassetto di un vecchio “cumbò” che fa da casa alla notte. C’è il vento e c’è il mare in un quadro che folgora d’azzurro, un altro spezzato su un angolo svela i desideri d’un uomo vestito di nero che libera suoni dal suo cilindro; una donna poi, che corre, presa dal frastuono del sentimento, dai battiti dei cuori che fanno l’amore! Oh, l’amore! Tutto in compendio, in due piccoli tomi allestiti su un minuscolo tavolino, che si moltiplicano nei libri fatti di veli, di carte assorbenti, foglie, che troverete mischiati alle cose della bottega: il manuale per fidanzati impazienti, la borsa da prendere con mani di fata e un grande album che accoglie ali di farfalla.
La forza e la fragilità dell’arte, in cose piccolissime che svelano l’attimo dell’intuizione, del desiderio del creare. Come un osso lanciato è l’arte e l’artista è il lancio e il cane che insegue quando si abbandona alle idee e al fare. Un bacio e l’ombrello, un canto e una donna con una maniglia che dice: “portami via” e strappi, scavi, fasci di fogli, si mischiano alle voci di bambini in un piccolo monitor che racconta le esperienze didattiche dell’inquieta maga-poeta.
Le mostre da Inari continueranno sino al 27 gennaio, degustando Jazz, ammirando paesaggi rurali, una mostra filatetica sui piatti tipici del mondo e le cucchiare di legno di Genuario fatte non per mangiare ma per nutrire… la tradizione. E anche Teresa continua gli incontri di “rose d’inverno” con un expò che innaugura uno spazio espositivo nel suo studio il 10 febbraio. L’occasione di un altro volo!

MM

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SIDEROFONO RAUCO oggetto sonoro di
  • antonio de luca



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