A trent’anni dal settantasette
Sono trascorsi trent’anni e il 1977 si presenta ancora come una ferita, un “incompreso trauma”, un "buco nero" della storia italiana denso di vicende, di paure e di sangue.
Stretto fra due “buoni movimenti”, il ’68, ormai stabilmente entrato a far parte dell’immaginario collettivo e l’85 della Pantera, realista, disincantato, “ragionevole”, il movimento del ‘77 ha da sempre subito la più completa e radicale rimozione. L’oblio, o al massimo il ruolo di preambolo degli “anni di piombo”, è questa la massima concessione che la storiografia ufficiale (cioè la storiografia dei vincitori) sia disposta a fare al ’77 e con esso, a tutti gli anni settanta.
Una fase rimossa perchè fatta coincidere con la violenza del terrorismo, sia quello "piccolo" e sbandato, spesso costretto ad atti inconsulti perchè braccato e incastrato da sommarie repressioni, sia quello “grande”: grande almeno quanto la sua strategia, paranoica e ossessionata da schemi ideologici antistorici. Un piccolo e grande terrorismo che , dall'Autonomia alle Brigate Rosse, ha colonizzato l'immaginario di un “uomo-massa” che ama coltivare più le paure che i desideri.
Ripensare agli anni settanta sembra quindi avventurarsi per un cammino scomodo e difficile. Pure, a nostro avviso, l’avventura va tentata, poiché è in gioco la memoria storica di più di una generazione.
Il convegno di Bologna del settembre settantasette -festoso epilogo di quella complessa fase- confermò l’esistenza di uno strato giovanile inquieto, tendente alla marginalità, ricco di bisogni e portatore di comportamenti irrazionali: il “proletariato giovanile”. La definizione può essere discussa, ma prendiamola per buona: essa contribuì ad unificare una serie di fenomeni nuovi, i cui momenti aggregativi ed “esplosivi” non avvennero tanto sul terreno strettamente politico, quanto su quello culturale. In particolare, gli anni Settanta, e questa fu una delle peculiarità del momento, videro nascere anche in Italia un legame indissolubile tra musica e devianza giovanile, legame chiaramente avvertibile in altri paesi europei e non ci sembra un caso se il punk inglese avesse il proprio battesimo proprio in quell’anno. Così, una storiografia che volesse ripercorrere le tappe della nascita del “proletariato giovanile” dovrebbe ripensare al festival di Umbria Jazz del ’75, al concerto per la depenalizzazione delle droghe leggere a Roma, Piazza Navona, 1975, al festival di Licola ancora nello stesso anno, alle diverse edizioni del festival di Parco Lambro, ’74, ’75, ’76. Situazioni culturali più che politiche, ma la scissione di queste due categorie fu messa radicalmente in discussione e lo slogan fu “il personale è politico”. Consistenti masse giovanili ebbero l’occasione di vivere, almeno per un po’, le esperienze di “liberazione”, altro termine chiave, di cui avevano sentito parlare dai profeti dell’underground americano: vita in comune, libertà sessuale, uso di droghe, rigorosamente leggere e psichedeliche, nomadismo.
L’elemento di novità che il ’77 mise infatti in gioco fu la singolare confluenza, in un mix da sapore del tutto particolare, di tematiche tipiche del movimento operaio ( ma filtrato dal ’68 studentesco ), egualitarismo, antiautoritarismo, antimperialismo, con tematiche direttamente mutuate dalla controcultura americana.
L’accusa di “irrazionalismo” cui il movimento venne fatto oggetto fu dunque perfettamente valida, salvo poi interrogarsi sullo statuto della razionalità vigente, ma il discorso sarebbe troppo lungo… .
Negli anni settanta emerse insomma uno strato giovanile che mise in primo piano i propri bisogni: erano “radicali”?. Mettevano in discussione l’assetto capitalistico della società? Ci si affannò a lungo su questi problemi, senza alcuna mediazione. Fu un movimento sconfitto proprio nel momento in cui tentò di contrapporsi frontalmente al potere politico-militare, esplose nell’impatto con la repressione statuale e implose nell’incapacità di darsi sbocchi di mediazione e di rappresentanza. Una parte cospicua e ricca del suo tessuto militante imboccò, più o meno consapevolmente, i tragici e suicidi destini della droga e delle armi. Ma i presupposti sui quali si fondò – disoccupazione/rifiuto del lavoro, degrado metropolitano, ecc. – non sono affatto scomparsi. La marginalità giovanile continua a vivere ai bordi delle città e del capitalismo avanzato.
Il ’77 fu l’ultima insurrezione di uno strato sociale, disomogeneo e confuso che continua ad esistere, ancora oggi. Difficile prevedere in quale modo farà sentire la propria voce; visse la brevità e l’intensità di una meteora, e come tale illuminò per alcuni attimi il cupo cielo della teoria e della politica del “sistema dei partiti” italiano e della sua propaggine extraparlamentare. Repentinamente e definitivamente consumò il repertorio delle “grandi narrazioni”, dell’immaginario storico della sinistra in tutte le sue varianti ideologiche, sia riformiste che rivoluzionarie. Ma del ’77 l’attuale movimento globale è debitore per una straordinaria manifestazione anticipatoria di quel soggetto sociale materialisticamente prodotto dalla trasformazione epocale del lavoro. Fu un anno di “innocenza e di premonizione” un’ottima ragione per i militanti (o attivisti che dir si voglia) di oggi di analizzare a fondo le vicende di quegli anni di passione e di desiderio.
MM
Etichette: cultura
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