Stampa ‘marginale’ a Lecce negli anni settanta
Una ricognizione su quella che fu la stampa marginale a Lecce negli anni Settanta non può che partire dalla rivista “Mu”. Un ciclostilato dal destino singolare e dalla particolare longevità (ne uscirono 12 numeri, dal 1974 al 1976) che, nel corso della propria evoluzione accompagnò ed in parte anticipò tematiche proprie del rapporto musica-politica allora molto in voga. Con un occhio particolarmente attento alle mutazioni dei costumi ed alla cultura giovanile, “Mu” fu per diversi anni punto di riferimento per tutti i “cani sciolti” della nuova sinistra leccese che non si riconoscevano più nel fare politico rigido ed istituzionalizzato delle organizzazioni della sinistra “storica” (ma anche della nuova sinistra) e che sentivano l’esigenza di un diverso rapporto cultura-politica.
Il 77, naturalmente era dietro l’angolo.
“Mu” nacque agli inizi del 1974. La redazione, allora ristretta ad un solo eroico componente (Francesco Galli) si occupò, per i primi due numeri - formato quadrato in stampa eliografica – esclusivamente di musica pop. L’ingresso di nuovi collaboratori (tra loro Toni Robertini, enfant prodige del movimento creativo leccese) modificò il taglio della rivista, che assunse una connotazione più “militante”. L’obiettivo era quello di diffondere il rock ma, seppur timidamente e fra mille ingenuità, comparve la parola passe-partout “controcultura”. Era aperto il campo alla discussione di tematiche quali la droga, la sessualità (s’apprestavano gli anni de “il personale è politico”) ma anche il cinema e la letteratura undeground.
Il successo della rivista convinse i suoi collaboratori a tentare la creazione di un vero e proprio “centro di controcultura”. Il progetto fallì, a partire dal numero nove, “Mu” assunse una connotazione sempre più politicizzata. Accanto alle recensioni dei dischi e concerti trovarono spazio articoli di taglio più “teorico”. Il progetto era quello di mettere in comunicazione politica e musica, due settori sino ad allora distanti ma che in seguito avrebbero sempre più marciato di pari passo. A partire dal numero 10, fino alla fine, “Mu” accentuò la sua politicizzazione e, anche in seguito ad un rimescolamento della redazione, si schierò con la consistente “ala creativa” del Movimento. Riscoperta della felicità, espropri, illegalità di massa furono le tematiche che presero il sopravvento sull’impostazione originaria. Il ’77, con tutto il suo carico di contraddizioni, spontaneismo, irrazionalità, aveva fatto ormai irruzione nella struttura del giornale, che non resse l’urto. Dichiaratamente schierati con Autonomia furono i due epigoni di “Mu”: “Te’ all’arancia” ed “In/Contro”. Tematiche non dissimili dagli ultimi numeri di “Mu”, con un accentuazione della violenza a livello grafico: due riviste dalla vita breve e dalla veste volutamente rozza e “sporca”.
Non vide mai la luce “Brutti Sporchi e Cattivi”, fu prodotto solo un provino in eliografia. Già il titolo della testata è indicativo del contenuto della rivista: il collegamento era con le esperienze del movimento bolognese, il tratto distintivo l’ironia. Soltanto curiosità per “Col sangue agli occhi”, rivista dell’Autonomia più incazzata e violenta (almeno a parole). La lotta contro la repressione fu il suo carattere distintivo, e ciò la dice lunga sulla piega che stavano prendendo gli eventi.
Schierata anch’essa sulla linea “creativa”, e con un occhio rivolto agli “indiani metropolitani” fu “Finalmente il cielo e’ caduto sulla terra”, ne uscì un solo numero. Nessun numero uscì de “L’elefante bianco”, titolo di una canzone degli Area, solo prove di impaginazione e un menabò discusso ed elaborato nel tentativo di ritornare alla musica e a contenuti culturali sperimentando un lavoro di redazione che sempre si perdeva in ascolti appassionati (nella casa di Alessandro Salerni ricca di buoni dischi) che scordavano la missione da compiere. Con “New Wave” siamo invece già in pieno post-settantasette. Mentre il Movimento si chiedeva se per caso i punk inglesi non fossero fascisti, una nuova leva di fans diede vita ad un ciclostilato dal taglio prettamente musicale (autore principale di quell’esperienza fu Pierfrancesco Pacoda, oggi affermato scrittore e critico musicale).
Gran cura nell’impaginazione grafica, dinamismo e verve sul piano della scrittura uniti ad uno spirito “d’impresa” nuovo e spregiudicato sono invece i tratti salienti di “Gola”, una vera fanzine sul modello delle riviste analoghe sorte in USA e in Gran Bretagna sull’onda del punk. Gola ebbe vita breve ma colpiì sicuramente nel segno. Stampata in tipografia e con un suo piccolo ma efficiente portafoglio pubblicitario, la rivista aggiornò il gusto ed aprì a tutte le novità del nuovo decennio. Anche qui la musica fu la componente determinante (alcuni dei suoi redattori provenivano da “New Wave”), ma non mancava un approccio disinibito e “cool” alla cultura giovanile. Di “Gola” uscì un solo numero. Il secondo fu solo distribuito agli amici.
E poi gli anni ottanta…
MM
Il 77, naturalmente era dietro l’angolo.
“Mu” nacque agli inizi del 1974. La redazione, allora ristretta ad un solo eroico componente (Francesco Galli) si occupò, per i primi due numeri - formato quadrato in stampa eliografica – esclusivamente di musica pop. L’ingresso di nuovi collaboratori (tra loro Toni Robertini, enfant prodige del movimento creativo leccese) modificò il taglio della rivista, che assunse una connotazione più “militante”. L’obiettivo era quello di diffondere il rock ma, seppur timidamente e fra mille ingenuità, comparve la parola passe-partout “controcultura”. Era aperto il campo alla discussione di tematiche quali la droga, la sessualità (s’apprestavano gli anni de “il personale è politico”) ma anche il cinema e la letteratura undeground.
Il successo della rivista convinse i suoi collaboratori a tentare la creazione di un vero e proprio “centro di controcultura”. Il progetto fallì, a partire dal numero nove, “Mu” assunse una connotazione sempre più politicizzata. Accanto alle recensioni dei dischi e concerti trovarono spazio articoli di taglio più “teorico”. Il progetto era quello di mettere in comunicazione politica e musica, due settori sino ad allora distanti ma che in seguito avrebbero sempre più marciato di pari passo. A partire dal numero 10, fino alla fine, “Mu” accentuò la sua politicizzazione e, anche in seguito ad un rimescolamento della redazione, si schierò con la consistente “ala creativa” del Movimento. Riscoperta della felicità, espropri, illegalità di massa furono le tematiche che presero il sopravvento sull’impostazione originaria. Il ’77, con tutto il suo carico di contraddizioni, spontaneismo, irrazionalità, aveva fatto ormai irruzione nella struttura del giornale, che non resse l’urto. Dichiaratamente schierati con Autonomia furono i due epigoni di “Mu”: “Te’ all’arancia” ed “In/Contro”. Tematiche non dissimili dagli ultimi numeri di “Mu”, con un accentuazione della violenza a livello grafico: due riviste dalla vita breve e dalla veste volutamente rozza e “sporca”.
Non vide mai la luce “Brutti Sporchi e Cattivi”, fu prodotto solo un provino in eliografia. Già il titolo della testata è indicativo del contenuto della rivista: il collegamento era con le esperienze del movimento bolognese, il tratto distintivo l’ironia. Soltanto curiosità per “Col sangue agli occhi”, rivista dell’Autonomia più incazzata e violenta (almeno a parole). La lotta contro la repressione fu il suo carattere distintivo, e ciò la dice lunga sulla piega che stavano prendendo gli eventi.
Schierata anch’essa sulla linea “creativa”, e con un occhio rivolto agli “indiani metropolitani” fu “Finalmente il cielo e’ caduto sulla terra”, ne uscì un solo numero. Nessun numero uscì de “L’elefante bianco”, titolo di una canzone degli Area, solo prove di impaginazione e un menabò discusso ed elaborato nel tentativo di ritornare alla musica e a contenuti culturali sperimentando un lavoro di redazione che sempre si perdeva in ascolti appassionati (nella casa di Alessandro Salerni ricca di buoni dischi) che scordavano la missione da compiere. Con “New Wave” siamo invece già in pieno post-settantasette. Mentre il Movimento si chiedeva se per caso i punk inglesi non fossero fascisti, una nuova leva di fans diede vita ad un ciclostilato dal taglio prettamente musicale (autore principale di quell’esperienza fu Pierfrancesco Pacoda, oggi affermato scrittore e critico musicale).
Gran cura nell’impaginazione grafica, dinamismo e verve sul piano della scrittura uniti ad uno spirito “d’impresa” nuovo e spregiudicato sono invece i tratti salienti di “Gola”, una vera fanzine sul modello delle riviste analoghe sorte in USA e in Gran Bretagna sull’onda del punk. Gola ebbe vita breve ma colpiì sicuramente nel segno. Stampata in tipografia e con un suo piccolo ma efficiente portafoglio pubblicitario, la rivista aggiornò il gusto ed aprì a tutte le novità del nuovo decennio. Anche qui la musica fu la componente determinante (alcuni dei suoi redattori provenivano da “New Wave”), ma non mancava un approccio disinibito e “cool” alla cultura giovanile. Di “Gola” uscì un solo numero. Il secondo fu solo distribuito agli amici.
E poi gli anni ottanta…
MM
Etichette: cultura, territorio
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