10 giugno 2007

La voce della poesia. Monito all’allerta!

“In questo progresso scorsoio
non so se vengo ingoiato o ingoio”.

“Il mio solo nipote ha compiuto un anno.
Troppo piccolo, non posso spiegargli.
Devo aspettare che capisca per potergli parlare.
O scrivergli un messaggio,
dentro un biglietto la richiesta di perdono
per non avergli lasciato un mondo migliore
di quello che è”.

Andrea Zanzotto


Ma che si incontrano a fare. Questi ménage ad otto sembrano un rito vuoto, un’eterna replica del nulla, comprimari e comparse al loro posto, buoni e cattivi in scena, chi in posa per la foto, gli altri, sullo sfondo, a tentare assalti della “zona rossa”! Tutto scritto, anche il “surf” degli undici gommoni di Greenpeace, un carosello ad uso delle cronache e degli annuari. Bono Vox e Bob Gheldof a fare la solita penosa questua!
Intanto i grandi si specializzano nell’arte del “compromesso”, campioni del non decidere, dell’irresponsabilità, dell’indifferenza.
Per ridurre con coraggio e determinazione le emissioni di gas serra decidono di riparlarne tra cinquant’anni, intanto si avviano un “surplace”, c’è tempo così vuole l’amerikano! Ognuno faccia come crede e per quello che può! E poi, la colpa è di quelli lì: i brasiliani, gli indiani, i cinesi che si sono messi in testa di crescere, di farsi pure loro “moderni”, industriali, produttori: fautori anche loro di quel “progresso scorsoio” che ci toglie l’aria.
Angela Merkel non ha strappato rassicurazioni al petroliere “Re del Mondo” e tutti dietro ad ubbidire, a far sì con la testa, ad onorarlo, ché l’importante è lo scudo spaziale, la difesa del privilegio, da quegli altri ancora che vogliono fabbricarsi il nucleare. Ma non gli basta tutto il petrolio che hanno? Guerra, guerra… Guerra!

A noi non rimane altro che la poesia, nel “cantuccio”, nella piega, nella rimessa delle rabbie, del sentirsi disarmati. Con la voglia d’incazzarsi e di tirare fuori le unghie… la poesia!

C’è un poeta, ancora capace d’andare a parlare con la natura. L’erba, i ranuncoli, i papaveri, i venti, la neve, la pioggia sono i suoi ascoltatori privilegiati. Uno scambio necessario, una consonanza dove la poesia scruta, fruga, trova. Trova suoni al verso, al senso, alle necessità! Costante in lui un lavoro di ricerca e sperimentazione sul linguaggio, rimanendo fedele ai suoi temi ed ai suoi paesaggi. Nato a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, il 10 Ottobre 1921, Andrea Zanzotto è sempre rimasto intensamente attaccato alla sua terra, ne è divenuto testimone dei cambiamenti e difensore di ciò che in ultimo rimane.
È innegabile nelle sue prime opere un costante tentativo di rimuovere la contingenza storica, egli racconta: «Nei miei primi libri, avevo addirittura cancellato la presenza umana, per una forma di “fastidio” causato dagli eventi storici; volevo solo parlare di paesaggi, ritornare a una natura in cui l’uomo non avesse operato. Era un riflesso psicologico alle devastazioni della guerra. Non avrei potuto più guardare le colline che mi erano familiari come qualcosa di bello e di dolce, sapendo che là erano stati massacrati tanti ragazzi innocenti.»
Questo fastidio per la storia, più che al trauma della guerra o ad un disinteresse per l'istoriale corrente (come scriverà nelle Ecloghe), è in realtà anche dovuto ad una convinta e particolare visione della letteratura come testimone e direttrice di un mondo ‘autre’, come potere che non associandosi col Potere ne denuncia le contraddizioni. E per questo la sua ricerca si dirigerà verso una poesia forte del «coraggio di guardare in faccia il vero anche se con infinite difficoltà e col pericolo di aggirarsi in un labirinto» e che abbia in questo «il suo onore».
Una poesia della militanza, frontale e politica tutta in difesa della fragilità del Mondo.
«La classe dirigente mondiale – egli sostiene – è rimasta ferma ad un'età pregeologica. Per loro non c'è un tempo della realtà, cioè un tempo della storia che è minimo rispetto al tempo della geologia, quindi hanno inventato il mito dell'impresa dalla crescita senza fine. La natura non la sopporta. Tutti, dico tutti, da Bush, Putin o compagni di briscola, lottano credendo di diventare chissà chi perché si impadroniscono di un bruscolo di polvere che è la terra. Difendere il paesaggio vuol dire difendere la bellezza della natura, che è la bellezza della vita anche se può essere un inganno, come dice Leopardi, “O natura, o natura. Perché non rendi poi quel che prometti allor? perché di tanto inganni i figli tuoi”».
Il “trauma grosso” della nostra contemporaneità, è nel non saper pensare un tempo che finisce. Un trauma «che non è stato affatto ancora digerito, e viene rimosso in continuazione, è quello di agire come se si dovesse andare avanti millenni. Guai se dici a uno che osserva l’andamento del Pil da un anno all’altro: questa roba qua fra settant’anni non avrà più senso. Il vecchio mito sbagliato, e rimosso nel profondo, è proprio quello che autorizza l’euforia del capitalismo». La realtà è che «oggi abbiamo davanti un tempo che strapiomba». La bomba vera è quella del «caldo atroce che scioglie i ghiacci. Perché la ribellione della natura sconvolta fa più morti del terrorismo, eppure nessuno reagisce. Pochissimi sembrano accorgersi che siamo entrati in un periodo di catastrofe climatica. Il clima che cambia crea fenomeni imprevedibili. Ci si sente stretti da qualcosa che non è esagerato dire apocalisse».


Al mondo

Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso.
Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire
il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu “santo” e “santificato”
un po’ più in là, da lato, da lato.
Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le proposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa’ buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su bello, su.
Su, münchausen
[da "La Beltà", di A.Z.]

MM

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giugno



sono stata nei campi in bicicletta a cercare immagini e suggestioni a raccogliere fiori selvatici come piace a me tanto... a stare sola in silenzio o a canticchiare a sudare a pedalare a respirare a muovere questo corpo appesantito dalla sedentarietà e non nel peso. Posso tutto quello che mi guarisce e allora ci provo...
v

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06 giugno 2007

C’era una volta un sindaco

Da Oronzo Massari a Paolo Perrone

Aldo Quarta, a chiusura del suo “Gli anni di Oronzo Massari 1950-1959” (Micella, 1994), si chiede chi sarà il nuovo Massari del XX secolo. Una risposta il tempo l’ha data, scritta dai numeri e dai plebisciti “ad personam” che anno chiuso il Novecento. Il problema è di oggi, di questo nuovo secolo, perchè la domanda è la stessa, visto che Lecce sembra rimanere una città profondamente “conservatrice”, poco incline ai cambiamenti ed affezionata alle sue tradizionali tranquillità. Potremmo dirla una città “poco politica”, abituata ad affidarsi ed Adriana Poli Bortone bene l’ha incarnata caratterizzandosi come la vera erede di quell’Oronzo Massari che spiccava per fermezza di carattere e decisionismo politico. Da Aldo Quarta apprendiamo che, per tutti gli anni cinquanta, a Lecce c’era un sindaco che al mattino faceva un giro della città, prendeva atto delle cose, andava a guardare se il mercato coperto era pulito, salutava maestranze e dipendenti comunali. Un sindaco nemico degli orologi fermi, delle fontane senza acqua e dei motorini assordanti cui vietava la circolazione. Un sindaco d’altri tempi che Guido Piovene nel suo “Viaggio in Italia” (Mondatori, 1957) erge, insieme con il napoletano Achille Lauro, a simbolo di un Sud brontolone ma fedele alle sue icone. Massari era amministratore attento “più all’immagine che alla progettualità: ordine, igiene, disciplina sembravano venire prima di ogni cosa. Certo, si puntava sul grandioso, così come grandiosi erano stati alcuni progetti faraonici del periodo fascista […]. Si ragionava alla grande, mentre - ancora nel 1953 - lavorava a pieno regime l’Ente Comunale Assistenza, con le razioni di latte ai vecchi, le mense calde, i contributi ai bisognosi e ai disoccupati”.
Una Lecce popolare resa ‘moderna’ dalle lotte delle tabacchine per gli adeguamenti salariali e per la sicurezza del posto di lavoro, ‘contro’ una Lecce aristocratica che andava ancora in carrozza ed una borghese affascinata dal fascismo che metteva nella villa comunale la lupa, simbolo di Roma antica, e commemorava il Maresciallo Graziani nella sala del consiglio.
Certo Massari non aveva l’auto blu con la pila di giornali su cui chinarsi, seduto dietro, per controllare l’esito di una conferenza stampa, i report sulla propria immagine, le classifiche di gradimento e gli attacchi degli avversari. Era un sindaco sanguigno, sostanzialmente qualunquista, incapace di guardare al nuovo ma che, ‘aiutato’ dall’impegno dei rappresentanti governativi locali, su tutti il Ministro Michele De Pietro (nato a Cursi), è riuscito a dare un’impronta avanzata a Lecce con l’inaugurazione nel 1955 del Quartiere di Santa Rosa.
C’era una volta un sindaco, ce ne sono stati tanti dopo e adesso,‘chiusa’ per raggiunti limiti di eleggibilità l’era Poli, ne abbiamo un altro, forse il più giovane fra quelli che hanno governato Lecce nella storia repubblicana.
Noi gli auguriamo di essere sindaco presente e popolare, attento alla città, ai suoi bisogni e ai suoi fermenti. Egli, lo abbiamo detto, è giovane, dunque con una sensibilità non inquinata dai pregiudizi. Lo diciamo perché speriamo sia capace di sanare quelle profonde ferite che chi lo ha preceduto ha con ‘dispetto’ coltivato. L’ostracismo, le disattenzioni ed il manifesto disinteresse per ciò che era diverso hanno caratterizzato molte delle scelte della sua attuale vice.
Si tratta di starci nella città, di attraversarla, di andare a guardare, di proporre e di scegliere rendendo partecipe la comunità delle proprie intenzioni, proprio come fece Massari quando decise di ripristinare la quarta porta di Lecce sottoponendo il progetto al giudizio dei leccesi. Ma si sa, porta San Martino non fu mai riedificata. Ne sarà capace Paolo Perrone?

Mauro Marino

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04 giugno 2007

campo di lavoro nei terreni confiscati

CARISSIMI ANCHE QUEST'ANNO SI TERRA' NELL'ULTIMA SETTIMANA DI GIUGNO E LA PRIMA DI SETTEMBRE IL CAMPO INTERNAZIONALE ORGANIZZATO DA LIBERA E LEGA AMBIENTE SUI TERRENI CONFISCATI SITI IN AGRO DI MESAGNE/TORCHIAROLO/SAN PIETRO VERNOTICO.

CERCHIAMO AMICI ATTENTI ALLA TEMATICA CHE CI POSSANO DARE UN AIUTO NELLA GESTIONE LOGISTICA DEL CAMPO , AL CAMPO PARTECIPERANNO CIRCA 15 RAGAZZI/E DI TUTTO IL MONDO.

PER TUTTI COLORO CHE FOSSERO INTERESSATI CONTATTARE: ALESSANDRO LEO 349/7417950 alessandro.leo@aliceposta.it
PER ULTERIORI CHIARIMENTI SU QUELLO CHE SERVE E DARE LA VOSTRA DISPONIBILITA'.

VI CHIEDIAMO CORTESEMENTE DI DIFFONDERE IL PIU' POSSIBILE IL CONTENUTO DI QUESTA E-MAIL ALL'INTERNO DELLE VOSTRE ASSOCIAZIONI E TRA TUTTI I VOSTRI AMICI CHE RITENETE POSSANO ESSERE INTERESSATI A VIVERE QUESTA ESPERIENZA DI SERVIZIO A FAVORE DELL'AFFERMAZIONE DELLA LEGALITA' NELLA NOSTRA TERRA. (NEL 2006 PARTECIPARONO12 GIOVANI DI PROVENIENTI DA VARI PAESI DELL'EUROPA.)

LIBERA BRINDISI

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03 giugno 2007


La bilancia pendette
dalla parte dell'ingiustizia.
Nudi, con la nostra vita sul palmo
ciottolo splendente tacevamo
appendendo i nostri corpi
per bilanciare la giustizia con l'ingiustizia.
Nei tuoi occhi,
che avevamo eletti tabella di previsione dei nostri sentimenti,
passò la compassione per la nostra impotenza
e rimase l'ombra dell'amarezza.

La tua casa, mezzo costruita,
si perse nella nebbia.
La tua casa, mezzo bruciata,
protestò alla luce
ma non dicesti nulla
lasciando che la tua tristezza
riempisse i granellini del silenzio.
Ed era come se diventassi straniero.
Ed era come se diventassi amico.
Non c'era posto per la tua dimensione
in quello spazio
e ti sei ristretto nel nostro cuore.


Pitsa Ghalazi (1940), poetessa cipriota
Momenti di adolescenza #8 (1963)
in La sorella di Alessandro e altre poesie, Argo ediz. 2004

SIDEROFONO RAUCO oggetto sonoro di
  • antonio de luca



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