26 agosto 2006

Lamentazioni di fine estate

Prologo…

La senatrice Manieri fa ‘tenerezza’ col suo candido suggerire per il Salento “un turismo di qualità”. Una buona notizia a due anni dagli stati generali che ella convocò in apertura della consigliatura Pellegrino in qualità di assessore al turismo. Delega strategica per il futuro del territorio. Leggendo l’articolo pubblicato nella prima pagina dell’edizione leccese della Gazzetta del Mezzogiono di domenica 20 agosto, viene da chiedersi: dove vive la signora del socialismo salentino? E’ stata mai turista nel Salento? Ha mai viaggiato sul litorale? Si è guardata intorno? Lei con disarmante innocenza non traccia un bilancio della stagione, si attiene ai numeri, aspetta i dati definitivi per trarre un bilancio.
Fa rabbrividire quando enuncia la verità del piano strategico della provincia: “essere semplicemente Salento non basta più” e via con le astrazioni: digitalizzazione, accessibilità, infrastrutture, servizi… Le chiediamo: quando? Fra quanto tempo? Intanto che si fa? Che cosa è stato fatto oltre gli accordi di programma e le buone intenzioni?
La verità è che il Salento è in affanno se non allo sbando, il patrimonio costiero largamente degradato, senza controllo, nell’incuria e quando va bene affidato all’autogestione dei bagnanti che provvedono alla cura dei metri che occupano su spiagge e scogli. Alcune amministrazioni latitanti nella loro responsabilità di governo del litorale. Nardò, Porto Cesareo, Gallipoli. Poche le amministrazioni coraggiose ed è un bel vedere l’Orte ad Otranto ( ahi! Otranto che nemmeno brilla, ferita dal sovraffollamento) salvata dalle automobili, a protezione dell’idea di parco ma subito ‘scurisce il cuore’ nella precarietà di Badisco.

Noi sempre in viaggio…

Ci allontaniamo dal caos di Porto Cesareo dove il sindaco sbraita per i fuochi di San Lorenzo e nulla fa per una maggiore regolamentazione del traffico, per il decoro generale delle strade e a protezione delle dune nella zona a nord, tutelate da un progetto per ristabilire un equilibrio della vegetazione, ma irrimediabilmente compromesse nell’impianto, dall’incuria pubblica e dallo scarso senso civico dei cittadini bagnanti.
Ci allontaniamo anche da tutto quello che riguarda il ‘poco amministrare’ il litorale che porta la regia del comune di Nardò, vista la larga incompetenza dimostrata da quei politici nel concepire un’idea di programma e di progetto in favore di quel turismo di qualità che il territorio meriterebbe (poche le eccezioni riferite solo ad un breve tratto costiero di competenza: Le Cenate, Santa Caterina, Porto Selvaggio, ma poi, poi...?).
Ci allontaniamo verso Taranto e dietro una curva il paesaggio cambia. L’Arneo ritorna ad essere l’Arneo - scompare quell’orribile muro di cemento che chiude la vista al segreto della pista di collaudo più grande d’Europa, perchè non si albera, perché non si chiede a chi amministra quell’impianto di spendere qualche lira per una siepe che regoli l’impatto visivo di quella bruttezza. La campagna appare nel suo incolto mediterraneo e puoi scorgere il lago della bonifica con la sua natura. Andiamo alle saline del Duca, Torre Colimena, un villaggio col giusto tempo lento del relax, un po’ esotico col suo vuoto, messicano. Ti accoglie un cartello che ti invita a camminare, andare a piedi dice fa bene alla salute, un altro invita a rallentare.
Ti chiedi subito cosa cambia? Oltre agli sguardi, alla semplicità generale delle cose, al sapore naif di una decorazione che grida W la Pugla (la Puglia) e pianta tamerici. Ti chiedi subito perchè poco più in giù tutto s’è perso, dissolto in una vanità che ha scordato la sua qualità se mai l’ha avuta. E sì perché viene subito da chiedersi è un problema di amministratori o è un problema generale di sensibilità. Prendiamo la lingua della Strea immediatamente sotto Porto Cesareo. Un condensato di degrado. Di chi è la responsabilità? Sicuramente di chi barbaramente l’ha colonizzata deturpandola, ma anche di chi è incapace di avere occhi per porre rimedio, per dare regole, per sanzionare e curare. Di chi è la colpa dell’orrido obelisco che ci ‘racconta’ le meraviglie di Torre Inserraglio, e di quei campi recintati con alte reti che decorano il paesaggio.
Basterebbe poco, molto poco. L’architettura del paesaggio non è una invenzione astratta, esiste, vicina vicina, nel buon senso delle persone.
Ti viene da pensare che l’accudimento, la manutenzione dell’esistente, la sua stretta tutela e l’affinamento del ‘brutto’ e del nuovo a quel canone sia la garanzia della bellezza. E’ la bellezza il richiamo, la leva che muove l’attenzione e tutto ciò che la degrada va combattuto. Non ci può essere una progettualità che non sia accordata a delle linee di valore che determinano una volontà di garanzia dell’assetto territoriale generale.
Si parla di grandi mostre ma nulla si fa anche qui per rendere visibile il già presente. Avete visitato il brutto, perenne cantiere dell’Abbazia di Cerrate, l’inesistente del patrimonio di Badisco, il parco archeologico di Roca, o di Rudiae? Quale visibilità ha il Museo Provinciale Castromediano con le sue collezioni e la pregiata pinacoteca di pittori e scultori salentini? Quale valore si intende dare a questo patrimonio? E la tradizione artigiana perché è mortificata? Ciò che si insegue è un sistema oramai desueto di logorata modernità, che non corrisponde all’esigenza di un turismo in cerca di particolarità, di pura bellezza, di incanto paesaggistico e di intrigo culturale.

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  • antonio de luca



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