23 ottobre 2007

Le cave quell’indelebile “sfregio cicatrice” che l’incuria e la dimenticanza hanno reso discarica.


Il manifesto in gergo grafico si chiama doppio elefante: 100 X 140 cm., una campitura di cielo notturno, il paesaggio in basso era tagliato nel giallo della pietra, il mare, una torre e il saluto di un uomo rivolto ad oriente! Il segno inconfondibile di Francesco Spada inaugurava la prima volta di uno spettacolo in una cava. Era il 1992, tra Cursi e Melpignano andavano in scena i Canti Orfici, il ritorno di Carmelo Bene nella sua terra, dopo lunghi anni di stizzita assenza. Era quello anche l’inizio della stagione ancora inesausta dell’affermazione di una particolarità territoriale, e il Salento proprio nella pietra trovava una leva possibile di rilancio e di affermazione.
Oggi lo “Studio dAM - architettura materia e ambiente” (www.studiodam.eu) di Roma è stato incaricato dalla Regione Puglia di progettare la riqualificazione delle cave pugliesi dismesse. Il progetto dei tre giovani architetti romani Paolo Cannata (laureato a Roma nel 2002), Linda Gaia Roncaglia (laureata a Roma nel 2000) e Marco Scarpa (laureato nel 2003 allo IUAV), interessa sei ipotesi di restauro del paesaggio pugliese ed include le porzioni dismesse delle cave di Cursi, da destinare a parco tematico museale, e di Maglie, da riconvertire in area agricola sperimentale per lo stoccaggio di ecoballe.
Progetti, che pur corrispondendo ad una necessità territoriale, appaiono calati dall’alto, ‘spalmati’ su un territorio che con le cave ha un rapporto complesso e contraddittorio. Da un lato la forte suggestione che esercitano su noi abitanti di pianura, che in esse pratichiamo lo sprofondo e la vertigine, e dall’altra la densità di una memoria fatta di dura fatica che allontana e disincanta.
Cursi: “Territori di Pietra” e le notti di San Lorenzo, le “Visite ai Giardini di Pietra”, l’Ecomuseo e il Parco delle Cave, l’Osservatorio Nomade, il progetto Egnatia, le pietre di scarto e Mare emerso, nomi a caso? No, segnano la linea di un progetto reale che in un ciclo più o meno ventennale ha attivato riflessioni, accadimenti, ha coinvolto sensibilità, sedotto pensieri e pratiche intorno alle cave.
In realtà tutte false partenze se non sono state capaci di maturare una coscienza ed una organizzazione tali da riversarsi concretamente sul territorio, dando corpo e realtà ai desideri progettuali di quei tanti nomadi, salentini e non, in cerca di un territorio dove dare campo all’arte e alla ricerca, sperimentando nuovi equilibri tra habitat e comunità.
Da questo giornale si è lanciato l’allarme su come la pietra salentina non sia tutelata ed accompagnata sul mercato, di come le opere di un design evoluto siano snaturate nella loro essenza ed unicità da chi non ha il rigore, l’educazione e la disciplina necessaria per inventare e per creare.
Siamo alle solite! Di chi è la responsabilità? A chi è dovuto costruire le regole e la sovrastruttura a garanzia, a riconoscimento e a tutela del fare?
La risposta c’è, questa volta la facciamo rimanere tra le righe!
Rimaniamo all’incanto delle cave: “La strada si inoltrava nella campagna disseccata e desertica tra il frinire assordante delle cicale e si inabissava verso il fondo delle cave che quasi da ogni lato circondavano la città come un vallo irregolare e ne costituivano in negativo la misura, perché da lì proveniva tutta la pietra con cui nei secoli erano stati edificati e chiese e palazzi e case e fortificazioni, quasi che la città stessa fosse stata generata dalla terra e la terra di quella faticosa generazione serbasse il segno, l’indelebile sfregio/cicatrice.” L’immagine è tratta dal racconto “Le volpi e le fate” di Giovanni Pellegrino, una descrizione dell’intorno di Lecce che vale per l’intero territorio talentino, fatto di quel “quasigiallo quasirosa che la pietra delle nostre case acquista sotto il sole della primavera e conserva sino alle prime piogge d’autunno, la nostra pietra così tenera, così duttile sotto lo scalpello degli antichi artigiani, così arrendevole alle offese del tempo che profondamente assorbiva il calore del giorno e subito cominciava a restituirlo non appena raggiunta dall’ombra del pomeriggio…”.
Tante cose è la pietra, è bene non scordarlo!

MM

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