Poiché la poesia
è una piccola finestra privata
che custodisco con semi agguerriti
e pori dilatati.
Poiché in questa finestra
si incarna la Regina, che veglia sul mondo.
Poiché la poesia
è un piccolo fiore selvaggio
nell’umidità della prigione
che fiorisce nelle crepe del cemento, piccolo ribelle.
Poiché la poesia
è un pezzo di cielo dietro una finestra a sbarre,
eredità di legami e libertà suprema.
Poiché la poesia
è la galleria tenebrosa
per passare alla libertà.
Il tirocinio al superamento verso la luminosa trasfigurazione.
Poiché la poesia
è la memoria e la voce della mia generazione fatta a pezzi.
L’ossigeno e il pentotal
nelle ore tenebrose del giudizio.
Poiché la poesia
è la ribellione al servilismo e all’accomodamento
e il grido di guerra.
Il modo di rischiare e di salvarmi.
La conservazione della metempsicosi delle sette vite.
L’acqua magica è lo stupore.
Il fulmine delle cose e l’ala dell’Arcangelo.
Poiché la poesia
è colloquio con gli angeli
e arrotondamento di spada sulla giustizia.
Il viottolo segreto,
l’isolamento e il fidanzamento col mondo.
L’incandescenza delle parole
E il montare cavalli dai piè veloci.
Poiché la poesia
è parole con la linguetta disinnescata.
Vulcanologia,
patologia,
destrezza da giocolieri e meraviglia.
Immunità e ribellione,
e ciò che chiamiamo “contro…”
ma anche l’affermazione del bello.
Poiché la poesia
è presenza e assenza,
radice profonda nel suolo ad alta vetta.
Cucitura del cielo
e ferita aperta, che non si rimargina,
mare che tiene il volto sommerso
e lo fa viaggiare misterioso.
Per questo vivo
scrivendo poesie
in un tempo
in cui una massa di Ifigenie anonime si sacrifica,
in cui le favole sono confitte in croce con chiodi di zingari
e i capomastri murano incessantemente
le donne in ponti instabili.
In cui le patrie si svendono
e le candele dei valorosi si sciolgono.
Per questo mi difendo
scrivendo poesie.
Prendo sulle spalle la sorte della mia generazione,
costruisco trincee
allargando i limiti dell’umana sopportazione.
Poiché la poesia
è un’arca e i poeti viaggiano
soli fin nell’anima, abbracciati a ricordi ed oggetti,
narrando diluvi.
Mantenendo integra l’identità del mio paese
e rendendola più pura.
Parlo una lingua strana
- la mia unica arma -
e mi difendo,
poiché anche la poesia si è ridotta
a questione privata.
Pitsa Ghalazi, (1940), poetessa cipriota
in La sorella di Alessandro e altre poesie, Argo ediz. 2004
che custodisco con semi agguerriti
e pori dilatati.
Poiché in questa finestra
si incarna la Regina, che veglia sul mondo.
Poiché la poesia
è un piccolo fiore selvaggio
nell’umidità della prigione
che fiorisce nelle crepe del cemento, piccolo ribelle.
Poiché la poesia
è un pezzo di cielo dietro una finestra a sbarre,
eredità di legami e libertà suprema.
Poiché la poesia
è la galleria tenebrosa
per passare alla libertà.
Il tirocinio al superamento verso la luminosa trasfigurazione.
Poiché la poesia
è la memoria e la voce della mia generazione fatta a pezzi.
L’ossigeno e il pentotal
nelle ore tenebrose del giudizio.
Poiché la poesia
è la ribellione al servilismo e all’accomodamento
e il grido di guerra.
Il modo di rischiare e di salvarmi.
La conservazione della metempsicosi delle sette vite.
L’acqua magica è lo stupore.
Il fulmine delle cose e l’ala dell’Arcangelo.
Poiché la poesia
è colloquio con gli angeli
e arrotondamento di spada sulla giustizia.
Il viottolo segreto,
l’isolamento e il fidanzamento col mondo.
L’incandescenza delle parole
E il montare cavalli dai piè veloci.
Poiché la poesia
è parole con la linguetta disinnescata.
Vulcanologia,
patologia,
destrezza da giocolieri e meraviglia.
Immunità e ribellione,
e ciò che chiamiamo “contro…”
ma anche l’affermazione del bello.
Poiché la poesia
è presenza e assenza,
radice profonda nel suolo ad alta vetta.
Cucitura del cielo
e ferita aperta, che non si rimargina,
mare che tiene il volto sommerso
e lo fa viaggiare misterioso.
Per questo vivo
scrivendo poesie
in un tempo
in cui una massa di Ifigenie anonime si sacrifica,
in cui le favole sono confitte in croce con chiodi di zingari
e i capomastri murano incessantemente
le donne in ponti instabili.
In cui le patrie si svendono
e le candele dei valorosi si sciolgono.
Per questo mi difendo
scrivendo poesie.
Prendo sulle spalle la sorte della mia generazione,
costruisco trincee
allargando i limiti dell’umana sopportazione.
Poiché la poesia
è un’arca e i poeti viaggiano
soli fin nell’anima, abbracciati a ricordi ed oggetti,
narrando diluvi.
Mantenendo integra l’identità del mio paese
e rendendola più pura.
Parlo una lingua strana
- la mia unica arma -
e mi difendo,
poiché anche la poesia si è ridotta
a questione privata.
Pitsa Ghalazi, (1940), poetessa cipriota
in La sorella di Alessandro e altre poesie, Argo ediz. 2004
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