Nei misteri di Taranto
Taranto, venerdì 6 aprile 2007
La croce con il Cristo deposto, terz’ultima figurazione di questa imponente processione ha sullo sfondo l’insegna di Zara, sembra impaginata in un manifesto di pret a porter. Tutt’intorno quello che vediamo dal nostro ‘non vedere’, sono cime di microfoni, ripetitori di segnale tv, lunghi bracci di telecamere in movimento sulla folla. E subito si fa nostalgia, evochiamo il desiderio di una macchina del tempo, che ci faccia scorgere il passato, il… com’era prima. Qui, doveva essere tutto fermo, sospeso, intero con il lieve oscillare che fa il cammino delle statue, lo spettacolo non era nell’orizzonte, nelle finalità e la creatività liturgica aveva efficacia, eloquenza, un'essenzialità segnica incidente, pienamente fascinante.
Qualcuno canticchia il motivo che la banda alza, lo guardo, ha gli occhi semichiusi, un momento di partecipazione interrotto da una sirena. Il Cristo disteso ha da poco varcato l’uscita della chiesa del Carmelo, è coperto da un velo che è un cielo di stelle dorate, si ferma al comando della forcella, dietro l’Addolorata nazzica sul limine della chiesa, ancora non vista.
Ci sarà stato un tempo di devozione, un tempo di pianti, di pieno stare nel dramma? La suggestione è fragile eppure qui, il Cristo-popolo, è davvero sulla croce, i mercanti del tempio si son dati da fare!
L’Addolorata sembra sola, piano viene fuori ma i suoni son fermi e l’unico elemento di amalgama viene meno e smorza una già fragile attenzione. Si chiude la porta adesso, son tutti fuori i misteri di questa via dolorosa, tra circa 12 ore saranno di ritorno, il traccolante batterà alla porta per chiedere d’entrare.
Occhi inseguono occhi, tutti in alto, verso l’alto a scorgere oltre la moltitudine di teste, al riprendere dei suoni, anche la telecamera s’impenna, sospesa al suo lungo braccio e punta il suo obiettivo in basso. Taranto si guarda nei piedi scalzi dei perdùne. Nel loro movimento, spalla a spalla che muove i piedi come un arco, è racchiuso il tessuto drammatico di questo andare.
Sin’ora poca è stata la danza dell’Addolorata, pochi passi nel suo rollio.
C’è tempo, c’è tempo!
Intorno: nessun rigore, nessuna tenuta, nessuna austerità. L’uomo che muove la traccola (13.000 euro per portarla), apre il lungo corteo, si ferma, si gira, guarda indietro. La banda, muta, lo segue. Alcuni musicanti parlano al telefonino, altri scattano foto a chi scatta loro foto, altri ancora chiaccherano. Le poste dei portatori si mettono in posa circondati da occhi digitali.
Intorno nessuna preghiera! Nessuno osa chiedere perdono, nessuno si pente! Uno spettacolo slabbrato, senza regia per le “anime incappucciate”, le mazze, fanno su è giù, senza alcun potere, senza regole. La gente (i fedeli?!) assiepata intorno insegue il desiderio, scontenta in mille sussurri palesa il disagio.
All’arrivo nei pressi della chiesa di San Francesco da Paola, i suoni della traccola si fanno fitti e fanno eco nel rimbalzo, trovano la loro efficacia. L’uomo si apre il verso, sfonda la barriera del pubblico, dietro di lui il gonfalone della confraternita, lieve il suono delle trombe cresce, la gente è vicina tutta intorno, non più trattenuta da transenne e cordoni, invade, si mischia.
Uomini con cappotto nero sulle spalle si avvicinano sembrano sfidare “la testa dell’andare”. Parlano, all’uomo senza occhi, sfrontati mischiano il fumo delle sigarette ai papillon. Le facce dicono: che colpe abbiamo noi, da farci perdonare? E’ tutto un conversare, una rottura anarchica del rituale, con il pubblico confuso, tutto dentro la grande scena.
Tutti in posa. E ti viene da chiedere musica, musica, musica! A fare clima, tensione, meditazione.
Viene un ma(!?), s’insinua. Forse il mistero sta nel nascosto, in quello che non vediamo. Sotto il cappuccio dei perdùne, nella stanchezza delle figure, nelle lunghe pause, nelle sfide lanciate dove l’attore si confonde con ciò che porta. Stremato dal peso, abbandonato, col capo reclino poggiato alla stanga che preme sulla spalla. Pare un cristo! Allora si, forse è qui che il rito tiene: in una trance che cresce, calibrata, tutta interna a quell’interminabile nazzicare che disegna il cammino.
Nell’oscillare è la chiave di una perdita che cresce l’incanto devozionale, la magia del darsi, del farsi sacro. Pura carne della rappresentazione. Santa è la fatica, lo sforzo, il dolore consumato in un’espiazione, chiesta e pagata a caro prezzo, aggiudicata in un’asta milionaria il giorno della domenica delle palme.
In una lunga nota tenuta dai clarini, facciamo il saluto, al cospetto del nero d’una madonna che alza al cielo un rosso cuore trafitto, che dice che si, andiamo al riposo, siamo soltanto a metà del cammino e nulla è risolto!
Per noi tutti i misteri di Taranto rimangono senza perdoni!
Guarderemo al mattino in diretta tv, tutto si ricompatta, trova ordine, liturgia, sacralità… Che forza la televisione! Buone inquadrature, buone pause e sospensioni nel dire, ci confortiamo, nulla ancora è perduto!
MM
[foto VS]
Etichette: sguardi, territorio
1 Comments:
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Andrea Aufieri
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