08 dicembre 2006

Virtù ed Autarchia

Per una critica della politica

Incontrarsi al ‘centro’. Questo sembra essere l’imperativo della politica. Le ali estreme perdono fascino. Al ‘centro’ c’è la giusta mèta. La saggezza e la generosità dei ‘mediani’. Ma, molti di coloro che in questa formula hanno trovato il solo modo per legittimare la loro esistenza politica, sembrano lontani dai valori che pretendono di promuovere, spesso risultano essere mediocri mediatori, teorici deboli e vuoti di proposizione. Molto spesso, ed è ancora più grave, sono veri e propri ‘estremisti’ incapaci di ascolto e di accoglimento delle ragioni dell’altro. Il trasformismo sembra essere la vera cifra della ‘politica di centro’, un pensiero ondivago attento solo a mantenere posizioni e privilegi.
Il ‘centro’ ha certamente un suo fascino! Anche una carica rivoluzionaria se diviene luogo di rielaborazione culturale, luogo di una redefinizione delle necessità e delle priorità utili a definire un Mondo possibile: compatibile, sostenibile, ragionevole, capace delle sue risorse, delle sue particolarità. Rispettoso della vita.
Già il Mondo! Perché è proprio in virtù di uno sguardo politico allargato ad esso che un ‘pensiero del centro’ (e del rinnovamento profondo della politica) deve trovare la sua ragione d’essere.
Ci sono nel design contemporaneo tendenze che invocano una “new simplicity”. All’imperativo del ‘tanto’ si risponde con una drastica pulizia del superfluo. Un progetto di ecologia della mente che riconduce l’esistenza all’essenziale. La filosofia “slow” che ha avuto successo nel cibo e nell’abitare ispirando uno stile di vita più lento contro l’indigestione del moderno, invita a ritrovare la giusta proporzione tra le cose e la loro possibilità di utilizzo. Per non esserne schiacciati. Un’inversione di tendenza necessaria in una società, cariata dal globalismo. Un groviglio dove si intrecciano tecnologie, culture, sentimenti e rabbie. Dove la continua contraddizione e un esasperato vivere al presente dettano le regole. Padrone il mercato che mai saprà la rinuncia.
C’è una parola che si nasconde dietro questo ragionamento che invoca la saggezza come chiave di una nuova ideologia: virtù. In opposizione a virtuale.
La ‘realtà dell’uomo’ controcanto allo strapotere ossessivante del consumo che distrugge e macina ogni strutturazione valoriale.
Virtù è la rinuncia. Virtù è la capacità di fare un passo indietro, di valutare, di considerare. Farsi umili, capaci di sguardo, di ascolto, di accoglimento. Riguardare al desiderio, a quel motore illuso che sembra aver ingolfato questa modernità, col suo post: bulimico, invadente, logorroico.
Un mondo dove non c’è medietà, non c’è più centro. Invocare una politica della rinuncia, di una nuova ed illuminata ‘autarchia’ non è tornare indietro. E’ sperare nella capacità dell’uomo di ricondurre a sè l’obiettivo della vita, del vivere, che non è abdicare ma ritrovarsi.
Il nostro mondo è “un paese impazzito”. Un paese che radicalizza lo scontro, che ama le risse, che è incapace di frenare il suo istinto, di moderarlo, di renderlo capace di equilibrio. C’è mai stato un modello differente per la politica? Uno stile non muscolare? Non da pollaio? Non da stadio, o meglio da arena?
Verrebbe di gridarlo un grande “basta!”, tentazione di volgere lo sguardo per risparmiarsi l’oscenità del quotidiano. Ma rimane una tentazione. Capaci, come siamo, di sapere altre sponde, possibili all’incontro, al progetto.
La politica rimane nodo all’agire culturale, all’operare che sempre produce relazioni e confronti. C’è da augurarsi un impegno aggregante di pensiero e di energie propositive, nel tentativo di mutare con il fare il corso di una storia che non soddisfa, per elaborare un cambio profondo, nuovo, rivoluzionario. Femminile, generativo!
Immaginare per la politica come una danza, la tensione all’esserci, nel giro largo della leggerezza che fa sorriso l’incontro. Non c’è nessuna forza politica capace di aprire passioni e coinvolgimento ideale, etico, vibrante di dono, nel tentativo ‘pacificante’ della bellezza. Non c’è ‘credo’ che colmi la disillusione che viene dal continuo chiacchiericcio che l’aia del mondo quotidianamente mette in scena.
Non è certamente facile e i guasti sono tanti e tali che richiedono l’elaborazione di un pensiero nuovo, capace di porsi come obiettivo primario la ‘salvezza’. Una qualità differente dello ‘stare a vivere’ che passa attraverso la rinuncia allo sviluppo e alla ricchezza che è foga del denaro, foga del guadagno, foga del dominio e della supremazia, mai tutela, solidarietà, equità, realismo.
Viviamo nel conflitto, viviamo dentro una guerra che non ha mai fine. Viviamo dentro un mondo che ingrassa le carni scordando la giusta catena biologica, viviamo dentro un mondo senza cognizione del tempo, che altera le stagioni. Viviamo in un mondo dove i disastri sono l’ordinario e i guasti provocati da umana mano considerati banali incidenti e non causa primaria delle alterazioni della natura. Viviamo in un mondo sbagliato, dove le parole non hanno più peso, dove la coerenza e la tenuta etica sono soltanto un optional e non un dovere essenziale del politico, dell’uomo.
Verrebbe da dire che siamo alla fine di un sistema, che la democrazia ha fallito, che la rappresentanza e i valori della cultura politica sono svuotati, che viviamo ormai al limite, nel giorno per giorno, senza progetto e senza obiettivo. Da questo la necessità di elaborare una critica profonda, di costruire le linee di una progettazione culturale che sia tentativo altro e diverso, da tessere pazientemente, con costanza, come opera d’arte, onde evitare l’ulteriore affronto al desiderio della vita.
Ci si può pulire i denti dall’opulenza ma non la coscienza!

MM

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